"Cogli la rosa quando è il momento,
che il tempo, lo sai, vola
e lo stesso fiore che sboccia oggi,
domani appassirà."
(Robert Herrick)
Il tempo s'è dilatato e poi ristretto, da un espresso a un americano e ritorno, ha rallentato il ritmo ma accellerato i mesi, e zompando quasi a pie' pari la primavera, percepita solo dalle finestre di casa, ci ha risvegliati a giugno. Che qualche giorno è sembrato novembre, ma questo è un'altro discorso.
Sono stati mesi molto strani e, per quanto mi riguarda, ancora in buona parte lo sono, con la sensazione di aver fatto un giro nella modalità centrifuga della lavatrice insieme al calzino spaiato e con l'idea che l'unica certezza sarà di un'estate incerta.
C'è tuttavia una cosa che nemmeno una pandemia ha cambiato: la voracità delle cornacchie romane.
Potrebbe anche essere un elemento rassicurante, se non fosse che tra aprile e giugno il mio terrazzino si trasforma ogni anno in un micro esempio di lotta alla sopravvivenza. O un sottile gioco tra me e i maledetti pennuti in eterno equilibrio tra furbizia e velocità. All'oggetto dei loro desideri, da sempre identificato nelle fragole addossate alla ringhiera, quest'anno si sono aggiunte le more della pianta introdotta l'anno scorso tra la vegetazione da balcone. Lieta d'aver scoperto piacciano pure quelle.
In un anno ho visto la pianta ingrandirsi, le foglie aumentare, i fiori spuntare numerosi i mesi scorsi e tramutarsi in graziosi fruttini, verdi, bianchi, poi rossi e infine neri e cicciotti. Ecco lì si potrebbe pensare che sia il giusto momento di coglierli. Invece no! Come per le fragole: se i frutti ti sembrano maturi e pronti per essere addentati, e sono lì ancora sulla pianta che ti osservano allegri...stai pur certo che il gusto non seguirà ancora l'aspetto. E' solo quando rassegnato vedrai il sottile peduncolo ormai spoglio che saprai quanto il giorno prima fosse IL GIORNO. L'unico possibile. Che ho imparato toccarmi solo random per qualche colpo di culo!
Di tutta questa quasi esilarante gara a chi arriva bene e prima, mi porto a casa, sempre più convinta, un grande insegnamento di vita: contano poco i sè e i ma, i ragionamenti cervellotici su un possibile esito negativo, quando il finale non è stato ancora scritto, non si deve confondere la previdenza con la rinuncia a priori, perchè ci sarà sempre il rischio di uscirne con le ossa rotte o addentando un frutto acerbo. Ma l'immobilità non ha mai portato nessuno alla felicità. Al massimo a diverse more rinsecchite sulla pianta. Con buona pace dei pennuti e mia.
Quindi cogli quella mora scura e facciamola finita!
p.s.: si accettano scommesse su quante more della foto siano state davvero mature.
***
Ingredienti:
- 15 gr di semi di chia
- 125 ml di latte di mandorle
- 2 cucchiaini di sciroppo d'agave (o d'acero o zucchero se preferite, da dosare a piacimento)
- 1/4 cucchiaino di estratto di vaniglia (o i semi della bacca o altro aroma se lo si gradisce)
- frutta fresca a piacere
- facoltativo yogurt (potete sceglierne uno vegetale per un pudding vegano privo di lattosio)
Mescolare bene in una ciotola i semi con il latte, lo sciroppo (assaggiate per verificare che la dolcezza sia quella giusta per voi) e l'estratto di vaniglia (che potete sostituire con altra spezia come cannella, zenzero...o anche nulla). Coprite la ciotola o trasferite il composto in un vasetto o bicchiere e lasciate riposare il tutto in frigo per 4-6 ore (io ho preferito lasciarlo la notte). Servite il budino con la frutta fresca che preferite o anche con qualche cucchiaio di yogurt.
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