"La morte con tutta probabilità è la più grande invenzione della vita.
Spazza via il vecchio per far spazio al nuovo."
(S. Jobs)
La supponenza insita nel genere umano, porta a credere spessissimo che le proprie usanze siano migliori di qualunque altra e che la sola conoscenza o interesse mostrato per quelle oltre il proprio "steccato" siano da considerarsi pericolosi per la sopravvivenza imperitura delle proprie.
Ma per chi ha piacere a varcare quel limitante steccato e ancora di più a documentarsi in modo più approfondito su cosa contenga o da cosa divida, potrebbero esserci incredibili e ironiche scoperte.
Possiamo quindi chiamarlo Samhain o Halloween o Dia de los muertos, ma i festeggiamenti legati al sottile legame tra i vivi e le anime dei defunti esistono e si assomigliano in ogni parte del mondo: luci e lanterne che segnano alle finestre o agli angoli delle strade il giusto cammino nel buio della notte, fiori, cibo e dolci da offrire come nutrimento agli spiriti, come molte tradizioni fortemente radicate nella cultura contadina.
Già al tempo degli antichi romani, per esempio, nei primi giorni di maggio, durante i festeggiamenti istituiti per il culto dei morti, le Lemuria, si usava consumare e offrire delle fave, ritenute il cibo prediletto dei lemuri, spiriti tormentati a causa di morti violente o premature, obbligati a vagare senza posa in una specie di limbo. Per tenere a bada questi spiriti pare esistesse anche un rito che prevedeva che il pater familias dovesse masticare una alla volta 9 fave nere e gettarle alle sue spalle sulla tomba del defunto.
Infatti già tra il VII e il VI sec. a.C. nella zona del Mediterraneo era diffusa la credenza del legame tra il legume e il mondo dei morti, dal momento che i petali del fiore si mostrano bianchi ma con una macchia nera al centro, ritenuta simbolo di morte e i frutti secchi lasciati in acqua tendono a tingerla di rosso, ricordando il sangue. Plinio stesso nei suoi scritti narra di questo legume in modo negativo, arrivando a credere che al suo interno risiedessero le anime stesse dei morti.
Già al tempo degli antichi romani, per esempio, nei primi giorni di maggio, durante i festeggiamenti istituiti per il culto dei morti, le Lemuria, si usava consumare e offrire delle fave, ritenute il cibo prediletto dei lemuri, spiriti tormentati a causa di morti violente o premature, obbligati a vagare senza posa in una specie di limbo. Per tenere a bada questi spiriti pare esistesse anche un rito che prevedeva che il pater familias dovesse masticare una alla volta 9 fave nere e gettarle alle sue spalle sulla tomba del defunto.
Infatti già tra il VII e il VI sec. a.C. nella zona del Mediterraneo era diffusa la credenza del legame tra il legume e il mondo dei morti, dal momento che i petali del fiore si mostrano bianchi ma con una macchia nera al centro, ritenuta simbolo di morte e i frutti secchi lasciati in acqua tendono a tingerla di rosso, ricordando il sangue. Plinio stesso nei suoi scritti narra di questo legume in modo negativo, arrivando a credere che al suo interno risiedessero le anime stesse dei morti.
Ancora oggi, per le festività di inizio novembre, in Veneto, come in buona parte del nord est, forni e pasticcerie in questi giorni preparano le cosiddette "favette dei morti", piccoli dolcetti a base di mandorle che, nonostante i colori variopinti dell'impasto, dovrebbero evocare appunto il frutto delle fave.
Ingredienti:
- 150 g di mandorle non spellate
- 100 g di zucchero di canna
- 100 g di farina 0
- 20 g di burro
- 1 uovo
- buccia di mezzo limone
- 1 cucchiaino di lievito per dolci
- 1 cucchiaio di liquore tipo amaretto
- 1/2 bacca di vaniglia
- 1-2 cucchiaini di cacao
- 1 cucchiaino di alchermes
Tritare molto finemente le mandorle nel mixer, quindi aggiungere lo zucchero, la farina, il lievito e la buccia del limone grattugiato. A questo punto aggiungere l'uovo sbattuto, il cucchiaio di liquore e il burro ammorbidito e impastare velocemente fino ad ottenere un panetto di frolla liscia. Dividete l'impasto in 3 e aggiungete i semi della bacca di vaniglia in uno, il cacao al secondo e l'alchermes al terzo. Creare 3 tronchetti e riponeteli ricoperti di pellicola nel frigorifero a riposare 1 ora circa. Dai 3 filoncini tagliate tanti gnocchetti che modellerete in velocità nelle mani come per fare delle polpettine, nel mio caso leggermente allungate a ricordare la forma delle fave. Potete creare delle favette anche bicolori o tricolori unendo gli impasti. Distribuitele su una placca rivestita di carta forno distanziate e, se vi è possibile, mentre portate il forno a temperatura, riponetele in frigo a rassodarsi. Cuocetele a 180° per 15 min circa. Fatele raffreddare e conservatele in una scatola di latta.
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