domenica 7 aprile 2013

Carciofi alla romana. Un fiore, due città







































A volte penso che il filo conduttore della mia vita, divisa tra Verona e Roma, possa essere un fiore (della serie per fare tutto ci vuole un fiore!). Ma il fiore in questione è il carciofo.
Innamorata alla follia già da piccola di quelli ripieni che cucinava nonna, carciofi straripanti pan grattato da racchiudere un'intero pasto, che nel piatto dovevano ottenere tutta la mia attenzione, perchè l'unico modo per mangiarli era sfogliarli un pezzo per volta e passare le foglie dure e carnose tra i denti, per rubare, insieme al ripieno, la parte tenera della foglia. Tanti cadaveri sul bordo del piatto. Un vero rito. Che capii con il tempo che non avrebbe potuto essere altrimenti, davanti a dei carciofi legnosetti e di modesta qualità.
Poi Roma, la "sacralità" del carciofo e la scoperta esilarante che, come diceva divertita una mia cara amica, l'Italia si può dividere semplicemente in due: i Ciuccia-carciofi (a nord) e i Mangia-carciofi (a sud).
La scoperta di una ricetta qua famigliare, nel senso di "appartenente alle famiglie" più che "conosciuta", che come tale in ogni cucina ha i suoi segreti, le sue sfumature, i suoi accorgimenti e che io stessa ho cominciato a fare guardando e spiando un po' qua e un po' là, raccogliendo via via dalle mie "famiglie adottive" e magari mettendoci qualcosa in più o in meno rispetto agli aromi che il mio balcone mi proponeva. Ma la mentuccia romana penso abbia il potere di trasformare una Ciuccia-carciofi in una dignitosa (non mi sbilancio perchè probabilmente ogni romano avrà da ridire sui miei carciofi) Mangia-carciofi.
La scoperta di carciofi di ogni forma e colore. Carciofi fritti, bolliti, crudi, interi, affettati...carciofi ovunque.
La scoperta che in questa città la primavera la si riconosce dalla "fioritura" ai bordi delle strade di mazzi di carciofi-da-carretto, proposti alle signore neanche fossero rose.
La scoperta che per far mangiare a nonna dei carciofi buoni, li si doveva infilare in valigia.
La scoperta che non ero l'unica veronese ad "importarli" con questo sistema.
La scoperta che per un carciofo si può ottenere la promessa di un invito, la scusa per un giro in moto, uno sguardo diverso alla città...addirittura la scusa per un nuovo sorriso.
Forse forse è vero che per fare tutto ci vuole un fiore!
Ingredienti:
  • 4 carciofi romaneschi (mammole o cimaroli)
  • 1 spicchio di aglio
  • mentuccia romana
  • prezzemolo o altri aromi vari
  • olio evo
  • 1/2 bicchiere di vino bianco
  • acqua
  • sale e pepe
Pulite i carciofi, togliendo prima un paio di giri delle foglie esterne più dure e poi tornendo con il coltello, dall'esterno verso l'interno, le punte del carciofo fino ad ottenerne una specie di rosa della parte più tenera.
Tagliate il gambo, mantenendo una piccola parte attaccata al fiore, e pulite anche quello sbucciandolo e togliendo la superficie esterna. Per evitare che si anneriscano potete immergerli in una bacinella di acqua acidulata (con il succo di mezzo limone) o, se preferite evitare di far assorbire il gusto del limone, versate un po' di farina nella bacinella d'acqua. Preparate un trito di aglio, mentuccia e prezzemolo o altri aromi. Decisamente io abbondo con la mentuccia, che deve essere il profumo predominante e per quanto riguarda il prezzemolo a volte io l'ho evitato o sostituito con altri aromi che avevo in casa (timo, maggiorana...)
Scolate i carciofi e batteteli a testa in giu allargando le foglie dove inserirete parte del trito. Quindi disponeteli capovolti in una pentola con bordi alti insieme ai gambi. Cospargete con il trito rimasto, qualche cucchiaio di olio, salate e pepate. Versate 1/2 bicchiere di vino bianco e acqua fino a metà della testa dei carciofi.
Coprite e cuocete per almeno 30 min, controllando che il liquido non si asciughi tutto, fino a che risuteranno morbidi ai rebbi della forchetta. Servite caldi (ma buoni anche freddi) con il loro fondo di cottura.

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