Capita qualche volta crescendo di dimenticarsi come da piccoli si giocava con un vecchio elastico, si facevano bolle di sapone con le scaglie di marsiglia e si credeva alle magie.
Capita, lontano da quelle magie, di correre in una vita faticosa e una città caotica, di non vedere più lo straordinario nell'ordinario.
Poi ci si ricorda immediatamente che tra il 28 e il 29 giugno, nella notte che anticipa SS. Pietro e Paolo, si versava un albume in un vaso di vetro pieno d'acqua, lo si lasciava riposare tra accaldati fili d'erba e radici di alberi (ma anche sopra un semplice davanzale, per chi di voi volesse provare!) e quando la rugiada del mattino non era ancora sparita, si andava a scoprire quale barca quell'anno il buon Piero aveva ormeggiato in quel vaso.
Nel primo vero giorno di vacanze, si annusa l'aria calda e si pensa che forse forse quell'estate potrà essere meravigliosa; si osserva quella luce pre serale che, non so come, ma qua ha qualcosa di diverso e si guardano i pini di Roma infuocarsi tra i colori della Girandola, con il naso all'insù e trattenendo un po' il respiro.
Non c'è nulla di più difficile delle cose semplici, del tentare di tornare bambini, del credere veramente alle magie. Ma quando ci si riesce niente altro è più buono, bello, vero.
Non penso di aver mai faticato tanto finora a far uscire un piatto come volevo e non sarà certo da Felice al Testaccio o da Roma Sparita, ma è con non poco orgoglio che scrivo di uno di quei "segreti" che Roma mi ha taciuto, fino a che non sono stata pronta ad innamorarmene pazzamente.
...ah, la mia barca, ai miei occhi assonnati e zuppi ancora di sogni, non poteva mostrarsi con vele più spiegate, per accompagnare, chissà, pirati intrepidi e coraggiosi in millemila avventure per i sette mari!