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domenica 5 aprile 2020

Brasadèle








































"Se non pióve su l'olivèla, pióve sula brasadèla"


Le stagioni come le conoscevamo non esistono più, le feste pasquali cadono sempre in una data diversa, ma, se c'è una certezza, sta nel fatto che, se alla Domenica delle Palme c'è il sole, a Pasqua sicuramente pioverà (aggiungerei: figuriamoci a Pasquetta!).
Tutto questo a eccezione che non ci si trovi nel pieno di una quarantena che obbliga il Paese a stare rinchiusi dentro casa da più di un mese...in quel caso ci sarà sole splendente la domenica prima, quella dopo e quella dopo ancora. Perchè "tempo, cùl e sióri i fa quel che i vól lóri", che altro non è che il modo un po' colorito che ha sempre usato mia nonna per dire che...beh, che il tempo è proprio un bastiàn contrario!
Nemmeno io però scherzo, e ogni tanto ripenso a quella dodicenne che, all'epoca in cui la moda imponeva il bomber come marchio distintivo di una generazione di adolescenti, in cui il massimo dell'audacia era scegliere tra nero o verde, trotterellava a scuola fiera e spavalda indossando un montgomery color cammello e un basco in testa. In fondo credo di essere ancora quella ragazzina lì, con la stessa intolleranza all'omologazione a tutti i costi.
In questi giorni di reclusione forzata ho visto chiunque scoprirsi panettiere, diventare esperto di impasti e di lievitazioni, provare addirittura a fabbricarsi da zero il lievito madre, con l'assurda convinzione magari di poterlo usare nel giro di una settimana, pur di ovviare alla mancanza del vero oggetto del desiderio della collezione primavera/estate 2020...no, non la mascherina, ma il lievito! Che insieme alla farina pare essere il vero desaparecidos dagli scaffali dei supermercati italiani. Perchè l'italiano, forte del suo bidet, può rinunciare alla carta igienica, ma non alla pizza!
Non che la cosa mi dispiaccia, intendiamoci: sono molti anni che racconto a chiunque del potere taumaturgico della panificazione e che consiglio di iniziare ad impastare come cura a (quasi) tutti i mali. C'è voluta una pandemia virale, ma sono lieta che molti l'abbiano finalmente capito.
Anche se sorrido a ripensare a quante volte ho provato a spacciare inutilmente il mio lievito madre...quel lievito che convive e invecchia con me da 7 anni almeno, che molti snobbavano e ora tutti vorrebbero.
Ma mentre io e lui ce la spassiamo insieme, alla faccia del lievito di birra mancante, e continuiamo a conoscerci, ad annusarci, a dosarci, a sperimentarci (perchè non si finisce mai di imparare), ho deciso che la rete forse non sentiva il bisogno dell'ennesimo post su impasti soffici e lievitati, ma di qualcosa di diverso.
Così, soprattutto pensando che questa strana Pasqua la passerò da sola, lontana dalla mia famiglia, dalle tradizioni e dai sapori della mia città, ho provato a portarne almeno uno nella piccola cucina della capitale. E non è stato subito facile perchè in rete le notizie sono poche, frammentate e confuse.
Le Brasadèle o Brasadèle Broè (dal dialetto "broàr", cioè "bollire"), sono infatti un antico dolce pasquale tradizionale di Verona. Talmente antico che probabilmente sarebbe già estinto se non fosse per qualche raro forno in città che ancora persiste nel prepararle. La loro forma ricorda la corona di spine, simbolo della Passione di Cristo, ma anche un sole splendente con tanto di raggi. La consistenza è croccante e leggera, il sapore solo lievemente dolce. Gli ingredienti sono davvero pochissimi, ma la lavorazione articolata e paziente, prevede prima la bollitura e poi, il giorno successivo, la cottura al forno.
Ma è proprio lì che si nasconde la vera magia: un impasto a cui non piace l'omologazione, che non segue le regole, che si gonfia e cresce, che si apre come un fiore che sboccia, che lievita senza lievito.
Un bastiàn contrario insomma!


Ingredienti:
  • 400 gr di farina
  • 4 uova
  • 40 gr di zucchero
  • 40 gr di burro (a temperatura ambiente)
  • scorza grattugiata di 1/2 limone non trattato
  • 50 ml circa di grappa o liquore all'anice (Mistrà, Sambuca, Pastis)
Disponete la farina a fontata in una ciotola, aggiungendo nel mezzo zucchero, scorza grattugiata di mezzo limone, le uova e la grappa e iniziate a mescolare con una forchetta partendo dal centro e facendo inglobare mano a mano la farina dai lati. Quindi aggiungete il burro ammorbidito a temperatura ambiente a pezzettini e iniziate a impastare con le mani sul piano di lavoro leggermente infarinato. L'impasto risulterà inizialmente abbastanza appiccicoso (a meno che voi non siate forniti di una impastatrice e facciate fare tutto a lei!), ma insistete a lavorare energicamente con una mano, magari aiutandovi usando una spatola nell'altra per radunare e raccogliere l'impasto che si attaccherà al piano di lavoro. Dopo una decina di minuti il vostro impasto dovrebbe risultare più compatto e riuscirete a staccarlo dal piano più facilmente e a formare un panetto. Riempite una pentola di medie dimensioni di acqua e portatela a bollore. Nel frattempo dividete il panetto in palline di 100 gr l'una (dovrebbero uscirne 8) e lavorate ognuna in lunghi salsicciotti spessi poco più di un dito. Richiudete a ciambella i salsicciotti facendo ben aderire le due estremità. Inserite nella pentola molto delicatamente una, al massimo due ciambelle per volta, facendo attenzione non si sovrappongano, e fatele bollire fino a che verranno a galla come per gli gnocchi. Scolatele e mettetele ad asciugare distese su un canovaccio pulito. Lasciatele riposare e asciugare per bene per qualche ora (io 3-4) quindi con una lama sottile e ben affilata create delle incisioni sulla superficie per tutta la circonferenza (io ho inciso due quadrati incrociati "a stella" guardando le foto sul sito del forno De Rossi) e lasciate quindi riposare le ciambelle incise 12 ore (io le ho lasciate sul canovaccio dentro il forno spento). Cuocete le brasadéle ben distanziate su una placca rivestita di carta da forno a 170°-180° gradi per 30-35 min fino a che i tagli si saranno bene aperti e la superficie dorata. Fatele raffreddare bene su una gratella fino a che sarà asciutto e secco anche l'interno e conservatele in un sacchetto del pane o una scatola di latta.


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