"M’indugiavo a guardare, sulla tavola, dove la sguattera li aveva appena sgusciati, i piselli allineati e numerati come bilie verdi in un gioco; ma sostavo rapito davanti agli asparagi, aspersi d’oltremare e di rosa, e il cui gambo, delicatamente spruzzettato di viola e d’azzurro, declina insensibilmente fino al piede – pur ancora sudicio del terriccio del campo – in iridescenze che non sono terrene."
(Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto)
Oggi per me sono 49 giorni da che sono ufficialmente in quarantena, 7 volte 7 in totale reclusione casalinga, in cui conto 4 uscite a piedi al supermercato più vicino e qualche fuitina a buttare la spazzatura ai secchi sotto casa. Non so nemmeno più se superati i 40 giorni possa essere chiamata "quarantena". Tutto sembra assurdamente congelato come un videogioco messo in pausa, in attesa di ripartire per proseguire la partita. Ma nonostante la sensazione di immobilità perenne, oltre le finestre la primavera prosegue il suo corso, come una grande festa alla quale gli unici non invitati siamo noi.